Quaderni Lupiensi di Storia e Diritto
Direzione:
Francesca Lamberti
Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università del Salento
Complesso Ecotekne, Via per Monteroni
73100 Lecce
Edizioni Grifo
Via Sant'Ignazio di Loyola, 37
73100 Lecce
(a cura di Annarosa Gallo)
Libri pervenuti alla redazione
Klaus Altmayer, Die Herrschaft des Carus, Carinus und Numerianus als Vorläufer der Tetrarchie, Historia Einzelschriften, 230, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2014, pp. 506, ISBN 9783515106214.
La brillante tesi di dottorato di Klaus Altmayer (A.) colma un desideratum della ricerca antichistica, in un’epoca di riconsiderazione negli studi della Soldatenkaiserzeit, vista non più come un periodo di “anarchia militare”, bensì di modificazione profonda delle strutture giuridiche, degli istituti e degli apparati amministrativi. Un processo d’altra parte portato a maturazione dalla riforma dell’impero operata in chiave tetrarchica da Diocleziano. Lo studio di A., articolato su sedici sezioni, si propone di esaminare il problema attraverso una rilettura completa di tutte le fonti inerenti al quadriennio 282-285. Dopo aver presentato la dottrina e lo stato delle fonti (§§ 1-3), A. propone una ricostruzione degli eventi del periodo (§ 4), e ancora un confronto fra il quadriennio di Caro, Carino e Numeriano e la tetrarchia Dioclezianea (§§ 5-6). La seconda parte del libro (§§ 7-10) è un ampio dossier di materiali (fasti magistratuali etc.) e fonti di tradizione epigrafica e papirologica. Chiudono (§§ 11-16) bibliografia (particolarmente accurata), indici, apparato iconografico. La conclusione, condivisibile, a cui A. perviene, è che il principato di Caro, Carino e Numeriano sia il Bindeglied fra l’ultimo principato e l’epoca dioclezianea e possa dunque a buon diritto essere considerata come una anticipazione della tetrarchia. [P. Buongiorno]
Rossana Aprile, Anna Maria Cherubini, Gabriella Culiersi, Saverio De Bellis, Cosimo Elefante, Donatella Grasso, Francesca Lamberti, Monica Legittimo, Maria Mancarella, Monica McBritton, Sonia Nero, Donatella Porrini, Marcello Presicce, Alessio Rotisciani, Vincenzo Zara, [a cura di Francesca Lamberti], Il lavoro che avvicina. L'esperienza Telelab (Laboratorio di telelavoro e conciliazione e l'Università del Salento), Lecce, Pensa Multimedia, 2014, pp. 192, ISBN 9788867602421.
Rosalba Arcuri, Moderatio. Problematiche economiche e dinamiche sociali nel principato di Tiberio, Antiquitas – Saggi, 33, Editoriale Jouvence, Milano 2014, pp. 508, ISBN 9788878014367.
Patrizia Arena (a c. di), Augusto. Res Gestae. I miei atti, Documenti e Studi. Collana del Dipartimento di Scienze dell’antichità e del tardoantico dell’Università di Bari Aldo Moro – Sezione storica, 58, Edipuglia, Bari 2014, pp. 192, ISBN 9788872287378.
Aa.Vv., Représentations militaires dans le monde romain : textes et images, in HiMA. Revue internationale d’histoire militaire ancienne 1, 2015, Paris 2015.
La Revue internationale d’Histoire Militaire Ancienne (HiMA) (http://www.orient-mediterranee.com/spip.php?article240), diretta da Giusto Traina, avvia, con l’editore parigino Klincksieck, una nuova serie di pubblicazioni (che avranno cadenza semestrale) in sostituzione della precedente serie, edita da Picard e circolante con il titolo di REMA (Revue des Études Militaires Anciennes). Il primo fascicolo accoglie gli atti di un programma di ricerca coordinato nel 2011-2013 da Patrice Faure e Bernard Puech e finalizzato ad indagare le rappresentazioni della guerra e dei milites nei due sensi del termine: quello di rappresentazioni antiche, commissionate, prodotte e mostrate già ai contemporanei, e quello delle diverse percezioni in cui tali rappresentazioni sono state colte nelle epoche successive. Fra i contributi di interesse per il giusromanista si segnala in particolare quello di Chr. Schmidt Heidenreich, Remarques sur la représentation monétaire du soldat romain d’après les scènes d’adlocutio (p. 79 ss.). Gli atti del programma di ricerca sulle Représentations militaires si inseriscono appieno nel quadro degli obiettivi che la nuova serie di HiMA si propone: « aborder tous les aspects de l’histoire militaire : non seulement les questions plus proprement techniques comme la stratégie et la tactique, ou bien la logistique et l’armement, mais aussi l’économie et le droit, l’histoire sociale et institutionnelle, également l’histoire événementielle basée sur les activités militaires et diplomatiques, autrefois pourfendue comme ‘histoire bataille’ ». Per l’antichità la guerra non è infatti una mera sequenza di battaglie: è piuttosto radicata nelle strutture della società antica, di cui costituisce, come gli antichi sapevano bene, una regola piuttosto che un eccezione. Si auspica dunque che, nella prospettiva di un superamento degli steccati disciplinari, progetti come questo abbiano lunga e feconda vita. [P. Buongiorno]
Ulrike Babusiaux, Anne Kolb (hrsg. v.), Das Recht der ‘Soldatenkaiser’. Rechtliche Stabilität in Zeiten politischen Umbruchs?, De Gruyter Verlag, Berlin – New York 2015, pp. VIII-292, ISBN 9783050060323.
Christian Baldus, Herbert Kronke, Ute Mager (hrsg. v.), Heidelberger Thesen zu Recht und Gerechtigkeit, Heidelberger Rechtswissenschaftliche Abhandlungen 8, Mohr Siebeck, Tübingen 2013, pp. 484, ISBN 9783161520563.
Yann Barthelet, Gouverner avec les dieux. Autorité, auspices et pouvoir sous la République romaine et sous Auguste, Mondes Anciens, Les Belles Lettres, Paris 2015, pp. 440, ISBN 9782251300016.
Okko Behrends (Martin Avenarius, Cosima Möller, Hrsgg.), Zur römischen Verfassung. Ausgewählte Schriften, Wallstein Verlag, Göttingen 2014, p. 607, ISBN 9783835314160.
Marta Bettinazzi, La legge nelle declamazioni quintilianee. Una nuova prospettiva per lo studio della lex Voconia, della lex Iunia Norbana e della lex Iulia de adulteriis, Iurisprudentia Saraviensis, Bd. 5, Verlag Alma Mater, Saarbrücken 2014, pp. X-180, ISBN 9783935009652.
Rena van den Bergh, Gardiol van Niekerk, Pascal Pischonnaz, Philip Thomas, Duard Kleyn, Francesco Lucrezi, Jan Mutton (eds.), "Meditationes de iure et historia". Essays in honour of Laurens Winkel, Fundamina, Editio specialis 2014, University of South Africa Press 2014, 2 voll., pp. 1050, ISSN 1021-545X.
Marco Brocca, Michele Troisi (a c. di), I boschi e le foreste come frontiere del dialogo tra scienze giuridiche e scienze della vita. Dalle radici storiche alle prospettive future, Editoriale Scientifica, Napoli 2014, pp. 315, ISBN 9788863426816.
Richard W. Burgess, Roman Imperial Chronology and Early-Fourth-Century Historiography. The Regnal Durations of the So-called Chronica urbis Romae of the Chronograph of 354, Historia Einzelschriften, 234, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2014, pp. 208, ISBN 9783515107259.
Fulvio Cammarano (a c. di), Abbasso la guerra! Neutralisti in piazza alla vigilia della prima guerra mondiale in Italia, Quaderni di Storia, 31, Le Monnier Università Mondadori Education, Milano 2015, pp. XIV-610, ISBN9788800745727.
A cento anni dalla grande guerra, nella prestigiosa collana dei Quaderni di Storia, il volume collettaneo curato da Fulvio Cammarano analizza il segmento cronologico compreso tra lo scoppio del conflitto, il 28 luglio del 1914, e l’entrata in guerra dell’Italia, il 23 maggio 1915. I dieci mesi precedenti la dichiarazione di guerra all’impero austro-ungarico furono caratterizzati dall’osservanza della neutralità da parte del governo italiano, in forza del trattato stipulato nel 1882 e rinnovato nel 1887 e nel 1891 (la triplice alleanza), il quale impegnava i contraenti solo in caso di guerra difensiva e non offensiva: avendo l’impero austro-ungarico dichiarato guerra alla Serbia, l’Italia poteva astenersi dal partecipare al conflitto a fianco degli alleati austriaci, laddove l’impero tedesco aveva deciso di schierarsi fin da subito.
Per motivi vari e di varia natura, la società italiana si riconobbe per ampia parte nel neutralismo, per mezzo del quale comunque sarebbe stato possibile annettere le terre irredente e completare l’unità del paese. Viceversa una minoranza per parte silente, per altra rumorosa spingeva per una entrata in guerra con le forze dell’intesa. In quei dieci mesi si consumò la contrapposizione tra la maggioranza neutralista e la minoranza interventista, entrambe accomunate dalla eterogeneità dei soggetti impegnati nell’uno o nell’altro schieramento.
L’attenzione dei circa quaranta autori coadiuvati da Cammarano si è dunque focalizzata sui sostenitori neutralisti nelle loro differenti appartenenze (parlamentare, intellettuale, popolare) e sulle motivazioni sottese alla loro scelta e al concreto loro agire per darle vita. Come segnalato dal curatore nel saggio introduttivo, la neutralità era riconducibile in seno a due distinte prospettive, l’una diplomatica-ideologica, l’altra politico-ideologica. Tuttavia il consenso originario sorto intorno alla posizione neutralista iniziò a erodersi fino a generare da subito, dall’agosto del ‘14, il suo opposto, l’interventismo: lo scontro tra i sostenitori delle due istanze – è bene ricordare – fu esperienza esclusivamente italiana, da alcuni storici interpretata in termini di una guerra civile.
Il volume è articolato in due sezioni, l’una complementare all’altra: nella prima sono contestualizzate e categorizzate le varie forme assunte dal neutralismo, nella seconda invece esse sono indagate nei singoli contesti locali, alla luce di un approccio metodologico non dissimile da quello proprio dello storico antichista.
Dall’analisi emerge l’immagine di un Giano bifronte nella misura in cui l’unitarietà e la compattezza mostrata da ciascuna componente non si tradusse nella loro sommatoria. Monadi racchiuse in un isolato individualismo, esse furono incapaci di aggregarsi e di generare un’unica istanza corale delle opposizioni alla guerra, diversamente da quanto seppero fare gli interventisti abili peraltro nell’uso della propaganda e capaci di esercitare una pressione tale da influenzare le scelte del governo.
Tra tutte queste monadi, è apparsa di particolare interesse quella rappresentata dagli intellettuali, in seno ai quali erano storici di Roma e giusromanisti. Dal contributo di R. Pertici (I ‘neutralisti intellettuali’: un primo inventario) è possibile dunque rintracciare tra altri il neutralismo del giurista Giuseppe Chiovenda, del romanista Salvatore Riccobono, del filologo Giorgio Pasquali, e degli storici Giuseppe Cardinali, Ettore De Ruggiero e Gaetano De Sanctis.
Animati dal ‘germanesimo culturale’, essi insieme ad altri intellettuali – professori di diverse discipline, accademici e filosofi – si opposero strenuamente alla guerra, mobilitandosi e costituendosi in gruppo con un loro proprio settimanale, Italia nostra, fondato da C. De Lollis. La “guerra degli spiriti” fu combattuta anche in Italia dal gruppo intellettuale neutralista fin dall’ottobre del 1914 con la lettera di Croce in risposta a quella di R. Delbrück direttore dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma. Di contro, quella stessa cultura tedesca e la civiltà tutta furono oggetto degli strali interventisti impegnati a sottolineare “il contrasto tra latini e tedeschi” a mezzo stampa (come messo in evidenza da L. Canfora nel suo 1914, Palermo 20142). Tra gli scritti nazionalisti si vuole qui segnalare la pubblicazione Genio e Kultur. Latini e tedeschi, raccolta delle conferenze dell’interventista Guido Podrecca edita nel 1915 (verosimilmente prima del 23 maggio dalla Tipografia Editrice Nazionale), in quanto l’attacco rivolto all’accademia tedesca coinvolse anche due cattedratici operanti in Italia. Senza farne i nomi, Podrecca riferisce di “professori tedeschi [che] – dalle cattedre dell’Università di Roma – ci insegnano la storia romana e il rinascimento artistico italiano”. Il Professore di storia romana altri non era che Karl Julius (Giulio) Beloch, professore alla ‘Sapienza’ dal 1879 (e poi fino al 1929), fondatore della scuola romana di storia antica e maestro tra altri del neutralista Gaetano De Sanctis (Sulla posizione di Beloch durante il conflitto, si vedano G. De Sanctis, Giulio Beloch, in Scritti Minori, IV (1920-1930), Roma 1976, 372 s., e A. Momigliano, Giulio Beloch, in Terzo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, I, Roma 1966, 261 s.). Probabilmente a Podrecca non era sfuggito l’attivismo di Beloch a vantaggio della neutralità e la sua polemica contro l’interventismo di A. Labriola avviata con l’articolo Lo spettro germanico apparso sul numero del 9 febbraio 1915 del Giornale d’Italia. L’altro potrebbe essere l’austro-ungarico Emanuel Löwy, primo docente di archeologia e storia dell’arte antica nelle università italiane al 1899 al 1915, maestro dell’interventista e nazionalista Alessandro Della Seta e del volontario Giulio Giglioli.
Per concludere, il volume appare il felice esito di un lavoro collettivo e corale sul tema, affrontato nella prospettiva di ricostruire in particolare storie e contesti locali, talvolta rimasti sullo sfondo o poco valorizzati; del resto anche lo sforzo di sintetizzare statisticamente i risultati appare di sicuro interesse. Le nostre conoscenze sull’argomento risultano pertanto ampiamente accresciute da questi risultati di cui ogni futura riflessione dovrà tenere conto e con cui dovrà necessariamente confrontarsi. [A. Gallo]
Camilla Campedelli, L’amministrazione municipale delle strade romane in Italia, Antiquitas I, Bd. 62, Dr. Rudolf Habelt Verlag, Bonn 2014, pp. XII-346, ISBN 9783774938588.
La monografia – che rielabora una tesi di dottorato discussa a Zürich nel 2012 – appare nella prestigiosa collana che ha ospitato, fra le altre, la monografia di C. Nicolet sulla fiscalità (1976), e, di recente, quella di K. Wojciech sulla praefectura Urbis nel principato (2010). Essa si propone l’obiettivo di «definire il ruolo dell’amministrazione municipale nella gestione delle strade in Italia», allo scopo di «mettere in luce i meccanismi e le strutture giuridico-amministrative municipali istituite al fine di garantire il funzionamento delle infrastrutture collegate alla viabilità nella penisola … sino alla riorganizzazione dioclezianea» (p. 1). L’opera è strutturata su quattro capitoli. Il primo (pp. 5 ss.) è dedicato alla classificazione delle viae. L’a. si concentra su due poli di attrazione: i testi dei gromatici e dei giuristi da un lato, la documentazione epigrafica dall’altro; animata dalla convinzione che «le sfumature giuridiche trov(i)no uno scarso riscontro nell’epigrafia, forse perché tali indicazioni erano incise su materiali deperibili come il legno» (p. 8), l’a. giunge alla conclusione che «la coincidenza terminologica tra fonti epigrafiche e letterarie (sia) dovuta all’identità del destinatario del messaggio, il cittadino romano, e alla funzione descrittiva delle parole, rispetto a quella giuridica o tecnica di giuristi e gromatici» (p. 9). Prescindendo dalle petizioni di principio, sia in premessa, sia in conclusione, deve peraltro rilevarsi come l’a. non prenda in considerazione le fonti nel loro insieme: tra le diverse lacune, spicca ad es. la definizione ulpianea (68 ad ed.) di angiportum, in D. 50.16.59pr., che pure denota una consonanza con gli elementi promananti dal dato epigrafico e dalle altre fonti di tradizione manoscritta. Inoltre, in ordine alla nozione di vicus, l’a. ritiene che tale termine indichi «una strada carrabile» (p. 17), come comproverebbe, a suo dire, fra gli altri un testo di Varr. l. lat. 5.159 (cit. dall’a. in nota): ma, come precisato da più studiosi – ad es. da P. Erdkamp (The Cambridge Companion to Ancient Rome, Cambridge 2013, 178) – nel luogo citato «Varro says that a vicus consists of houses», e anzi esso deriva il nome da via, poiché è su entrambi i lati di essa che si affacciano le case; in ogni caso, l’indagine lessicografica su vicus andrebbe completata con la glossa festina vicus (p. 502, 508 L.) e con il testo di Isid. etym. 15.2.22: di entrambe l’a. non tiene conto. L’intero capitolo secondo, dedicato alle Disposizioni di legge (pp. 19 ss.), ossia alle norme relative alla gestione municipale del sistema stradale, è una rapida rassegna di testi complessi e stratificati. L’a. prende le mosse da XII Tab. 7.7, cercando di dimostrare che la norma sia stata presto estesa all’intero orbe romano e comunque che sin da principio fosse indirizzata ai municipes romani («i soggetti dell’imperativo muniunto sono tutti coloro i quali facevano parte del corpo municipale allargato…» [?]). Il che lascia la sensazione che all’a. sfugga che le prime istituzioni municipali romane risalgano al IV sec. In questo capitolo sorprende altresì che l’a. faccia spesso ricorso alla lex Irnitana senza specificare mai la peculiare condizione di municipium latinum della comunità di Irni (cosa che potrebbe spiegare talune peculiarità nella disciplina delle cura delle strade prevista dallo statuto irnitano). Nel terzo capitolo l’attenzione si sposta sulle competenze dei diversi magistrati municipali (pp. 45 ss.), il loro rapporto con l’ordo e con gli organi di amministrazione centrale. Si anticipano altresì alcuni aspetti del finanziamento delle costruzioni stradali, più distesamente indagati nel quarto capitolo, ove si indaga l’equilibrio fra munera, vectigalia ed evergetismo (pp. 71 ss.). Nell’appendice al terzo capitolo, inerente al coinvolgimento di imperatore e senato nella gestione municipale delle strade, non mi sento di condividere l’esegesi (p. 67) di Suet. Tib. 31 (deliberazione senatoria che rigetta – nonostante l’opinione contraria dell’imperatore Tiberio – la richiesta dei Trebiani di cambiamento di destinazione d’uso di un legato testamentario). L’a. ritiene infatti, sulla base di un testo di Aburnius Valens (D. 50.8.6), che la competenza alla conversio in aliam rem di pecunia municipio legata fosse già in età tiberiana del principe: il che però non spiegherebbe perché la decisione ricordata da Svetonio sia affidata al senato (l’intervento di Tiberio è solo una sententia, e lo stesso principe partecipa alla votazione per discessionem, senza però avere grande seguito) e non al principe in prima persona. Sul testo svetoniano vi è in ogni caso un’ampia dottrina (Voci, Gagliardi…), di cui l’a. non tiene conto. Completano il lavoro un brevissimo paragrafo di conclusioni (pp. 101 s.), un corposo e articolato dossier epigrafico (pp. 103 ss., in cui l’a. esprime al meglio le proprie competenze epigrafiche), bibliografia (pp. 286 ss.) ed indici, delle fonti, dei luoghi, delle cose notevoli (pp. 329 ss.). Con riguardo al dossier, non mi pare condivisibile l’integrazione [ex permissu] in CIL X 4756, frutto di un suggestivo raffronto con CIL IX 1414 = ILS 5877, ma che non scioglie il dubbio che nel caso di specie si possa alludere indulgentia dell’imperatore. In ogni caso, numerosi passaggi del libro lasciano nel lettore significative perplessità. E.g.: a p. 6, forzando la lettura di Ulp. 68 ad ed., D. 43.8.2.22, si afferma (forse per un refuso), che le viae vicinales «erano publicae se il loro mantenimento dipendeva dal contributo di privati». Un riconosciuto maestro come Franz Wieacker è passim indicato come tale “E. Wieacker”. M.W. Frederiksen è indicato come uno dei “primi editori” della lex municipii Tarentini (il testo epigrafico era noto da fine ’800). A p. 30 si parla di una non meglio precisata condizione di “schiavitù servile”. Così come, in più circostanze, l’a. introduce la nozione di «corpo municipale», che sfugge a una piana comprensione da parte del lettore. Infine, secondo una prassi purtroppo invalsa presso molti storici di formazione epigrafica, i frammenti escerpiti dai Digesta giustinianei non sono mai citati con l’indicazione delle relative inscriptiones (e anzi percepiti come un atemporale prontuario di norme, fluttuanti e sempre valide per il mondo romano): una maggiore sensibilità in tal senso faciliterebbe peraltro la soluzione di questioni controverse (vd. quanto osservato in ordine a Suet. Tib. 31). Sul piano bibliografico, in ordine al Monóbiblos papinianeo, mi permetto di suggerire i contributi di R. Martini, M. Amelotti e, da ultime, di L. Migliardi Zingale e S. Saba (in QLSD. 1, 2011). Su S. Aelius Paetus Catus mi permetto altresì di suggerire la consultazione dei lavori di W. Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Graz 19692, e degli studi di F.M. d’Ippolito. Nel complesso emerge il ritratto di un libro incompleto, in cui la parte meglio rifinita è la sezione epigrafica, e che forse avrebbe necessitato di una maggiore meditazione nell’esame di fonti di tradizione manoscritta e dottrina. Un’occasione mancata per un tema affascinante come quello della compartecipazione fra centro e periferia nell’amministrazione delle strade nell’Italia romana; tema rispetto al quale è dunque auspicabile, in un prossimo futuro, una nuova sintesi, che comunque non potrà prescindere dal dossier epigrafico presentato nel volume testé esaminato. [P. Buongiorno]
Luciano Canfora, La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone, i Robinson/Letture, Editori Laterza, Roma-Bari 2014, pp. X-438, ISBN 9788858111017.
Luigi Capogrossi Colognesi, Law and Power in the Making of the Roman Commonwealth. Traslanted by Laura Kopp, Cambridge University Press, Cambridge 2014, pp. 402, ISBN 9781107071971.
Cosimo Cascione, Carla Masi Doria, Giovanna D. Merola (a c. di), Modelli di un multiculturalismo giuridico. Il bilinguismo antico, I-II, Pubblicazioni del Dipartimento di Diritto romano, Storia e Teoria del Diritto ‘F. De Martino’ dell’Università di Napoli ‘Federico II, 38, Satura Editrice, Napoli 2014, pp. XXVI-504 e VIII-406, ISBN 9788876071324.
Jean-Pierre Coriat, Les constitutions des Sévères. Règne de Septime Sévère, Volume 1, Constitutions datées de la première période du règne (juin 193-automne 197 ap. J.-C.) et constitutions non datées de Septime Sévère cité comme seul auteur de la décision, Sources et Documents, 1, École Française de Rome, Rome 2014, pp. XXVI-422, ISBN 9782728309696.
Per parafrasare una felice formulazione di Andrea Giardina di qualche tempo fa, potrebbe dirsi che la nostra epoca conosce una "esplosione di palingenesi". La raccolta di materiale testuale per ricostruirne, dalle condizioni frammentarie o connotate dal genere letterario o documentale di appartenenza, determinate epoche, periodi, legislazioni, attività normative, pensiero giurisprudenziale, è impresa tutt'altro che nuova all'interno dei nostri saperi. Negli ultimi tempi essa conosce tuttavia un rinnovato fervore, che trova altresì conferma nei generosi finanziamenti concessi da istituzioni nazionali o europee a progetti lato sensu palingenetici. Per quanto attiene in particolare alle raccolte di costituzioni imperiali, il primo progetto di palingenesi secondo un'impostazione moderna (e sulla scia del Corpus haeneliano) risale - è noto - all'iniziativa di Pietro De Francisci, proposta sin dagli anni '20 all'Accademia d’Italia, e proseguito - dopo la Seconda Guerra Mondiale - soprattutto da Edoardo Volterra e Giovanni Gualandi presso l'Università di Roma "La Sapienza". Vicissitudini diverse hanno impedito sinora una compiuta attuazione di quel progetto (prodotti di pregio in ogni caso sono stati gli Acta divi Augusti apparsi sotto la direzione di S. Riccobono nel 1945 e i due volumi di G. Gualandi, Legislazione imperiale e giurisprudenza del 1963): da esso sono scaturite tuttavia diverse costole, quali il Projet Volterra presso l'University College di Londra (a cura di Simon Corcoran, Michael Crawford e Benet Salway) e il progetto palingenetico cui da diversi anni attende a Parigi Jean-Pierre Coriat (nell'ambito del Programme Edoardo Volterra dell'École Française de Rome «Palingénésie des constitutions impériales du Principat»). Dopo l'apparizione nel 1997 del primo importante volume in materia (Le prince legislateur. La technique législative des Sévères et les méthodes de création du droit impérial à la fin du Principat) Jean-Pierre Coriat consegna alla ricerca storica il frutto delle sue indagini ventennali. Il volume analizza e pone in relazione 238 documenti, di cui 57 dal Codice giustinianeo, 123 dai Digesta, 3 dalle Institutiones giustinianee, 14 da altre fonti giurisprudenziali, i restanti da epigrafi (19), papiri (6), monete (4) e fonti letterarie (12). Essi testimoniano in totale (tenuto conto delle costituzioni pervenute in doppia, o tripla, tradizione) 178 decisioni, distribuite fra il 193 e il 197 d.C., e provenienti da Settimio Severo cui è pressoché sempre associato il figlio Caracalla (pp. 31-32). Prevalentemente rescritti, non mancano tuttavia nelle leges di questo periodo editti e decreta, nonché talune epistulae a funzionari aventi natura di mandata, e una verosimile interlocutio de plano. Taluni provvedimenti restano di natura incerta (pp. 16-19). La palingenesi vera e propria è divisa in due parti: una prima raccoglie i 70 provvedimenti databili con certezza (sia per via dell'inscriptio che di dati forniti da epigrafi, monete o fonti letterarie) (pp. 29-203); la seconda contiene poi le 108 decisioni aventi data incerta (e non databili), che le fonti attribuiscono tuttavia a Settimio Severo (pp. 205-399).
La struttura delle singole 'schede' è relativamente tipica: a una prima parte contenente gli elementi di riferimento della decisione (fonte di provenienza, eventuale inscriptio, datazione), l'argomento su cui essa interveniva e la natura (presumibile) della stessa, fa seguito una seconda col testo della decisione o delle fonti che la testimoniano e la traduzione in francese (con relativa bibliografia scelta), e infine una terza col commento dell'a. Impressionante la mole di materiale (sia testuale che bibliografico) raccolta dall'a., di cui deve apprezzarsi la misura e la neutralità nella valutazione del dibattito storiografico, ai limiti - talvolta - di una eccessiva brevitas (per taluni versi giustificata proprio dall'ampiezza della documentazione da valutare). Possibili in questa sede solo notazioni episodiche. In che misura ad esempio possiamo considerare costituzione imperiale quella documentata sub 1 A-C (pp. 35-42), vale a dire l'oratio principis tenuta da Settimio Severo in Senato all'atto del proprio ingresso a Roma, da cui scaturì un senatus consultum contenente l'impegno dell'imperatore di limitare la messa a morte di senatori di parte politica avversa (Cass. Dio 74(75).2.1-2, Herod. 2.14.3, SHA Sev. 7.1-5), impegno che lui stesso avrebbe disatteso in più occasioni? Quanto avanzata è la parificazione fra colui che esperisce vittoriosamente la querela inofficiosi testamenti e l'erede ab intestato, documentata da C. 3.28.1 (testo sub 3, pp. 43-44)? Quali i dettagli processuali della vicenda che coinvolge un minore di 25 anni in integrum restitutus, per conto del quale i fideiussori abbiano adempiuto ai debiti in un momento anteriore alla restitutio (testo sub 11, pp. 65-66)? Quali i motivi di ripetuti, frequenti interventi in materia di minori e di impuberes (come attestati in particolare dai testi da 82 a 103, pp. 227-270)? Di sicuro le relative decisioni dipendevano dalle sollecitazioni di privati e funzionari in argomento, ma è pensabile che possano legarsi anche ad un interesse specifico di Settimio Severo sul punto, a ridosso di precedenti interventi di Marco Aurelio in argomento (come pure Coriat pare ventilare: part. pp. 232-234).
Il volume è destinato, al di là del desiderio di approfondimento su singoli punti, a costituire un riferimento imprescindibile nel quadro dei nostri studi in materia. L'a. crea fra l'altro - dati i rilevantissimi risultati conseguiti in quest'opera - una assai intensa aspettativa nei riguardi dei volumi successivi da lui promessi: la palingenesi del periodo della coreggenza (197-211 d.C.), quella dei principati di Caracalla e Macrino, e quella di Alessandro Severo, opere destinate a loro volta a incidere sensibilmente sul quadro delle ricerche sull'attività normativa di età severiana. [F. Lamberti]
Sara Corrêa Fattori, Rute Corrêa Lofrano, Jorge Luis Nassif Magalhães Serretti (a c. di), Estudos em Homenagem a Luiz Fabiano Corrêa, Max Limonad, São Paulo 2014, pp. 487, ISBN 9788575490518.
Alberto Dalla Rosa, Cura et tutela. Le origini del potere imperiale sulle province proconsolari, Historia Einzelschriften, 227, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2014, pp. 362, ISBN 9783515106023.
Werner Eck, Bence Fehér, Péter Kovács (hrsg. v.), Studia epigraphica in memoriam Géza Alföldy, Antiquitas I, Bd. 61, Dr. Rudolf Habelt Verlag, Bonn 2014, pp. X-402, ISBN 9783774938663.
A due anni dalla scomparsa avvenuta nel novembre del 2011, dell’insigne storico ed epigrafista Geza Alföldy ungherese di nascita e tedesco d’adozione, il volume sessantunesimo della collana Antiquitas, (collana fondata da un altro ‘magiaro-tedesco’ Andreas Alföldi e in passato curata dallo stesso Geza Alföldy), raccoglie venticinque contributi – introdotti da una premessa e completati da un indice dei personaggi e uno dei luoghi – la curatela dei quali, da parte di W. Eck, B. Fehér e P. Kovács, riflette quella duplice componente identitaria propria di Alföldy.
Altrettanto, temi e argomenti di ciascun contributo riflettono gran parte di quelli che furono gli interessi della lunga ricerca dello studioso, indirizzata tra l’altro alle strutture dell’impero e delle sue élites, all’organizzazione delle province romane e alla riedizione di corpora epigrafici. Avvertita particolarmente da Alföldy, la necessità delle riedizioni dei testi epigrafici si poggia sull’assunto metodologico della corretta lettura della epigrafe essenziale ed imprescindibile per la ricostruzione dell’evento storico.
Nell’ambito di queste tre grandi aree tematiche si possono dunque inserire i contributi, sebbene la loro lettura possa essere trasversale e la loro incidenza appaia variabile.
Alla riedizione dei volumi del Corpus Inscriptionum Latinarum sono dedicati i lavori di P. Kovács, (Geza Alföldy und CIL III2. Auch ein Beitrag zum Thema: Geza Alföldy und Ungarn, 123-130) e di M.G. Schimdt (Inscriptiones Berolinenses Latinae, 307-326); solo incidentalmente si può includere quello di J. M. Abascal, la cui prospettiva di lettura è l’organizzazione municipale nelle province (su cui, infra). Per quanto attiene alla forma assunta dal principato, i lavori di W. Eck (Die Fasti consulares der Regierungszeit des Antoninus Pius, 69-90) e di M. Peachin (Augustus’ Res Gestae and the Emerging Principate, 255-274) paiono di certa importanza anche per gli storici del diritto. Il contributo di Eck si inserisce in una più ampia attenzione alla riedizione dei Fasti Consulares, che ha visto in tempi recenti la pubblicazione di essenziali contributi per l’età giulio-claudia, specialmente per il principato di Caligola (P. Buongiorno, Sulla struttura dei Fasti consolari degli anni 39 e 40 d.C. Epigrafia e Territorio. Politica e Società. Temi di antichità romane, VIII, Bari 2007, 253-271), per quello di Claudio (A. Tortoriello, I Fasti consolari degli anni di Claudio, Roma 2004) e per quello di Nerone (G. Camodeca, I consoli degli anni di Nerone nelle Tabulae Herculanenses, in ZPE., 193, 2015, 272-282). Indubbio l’apporto di tal genere di lavori alla comprensione della eventuale attività pubblica svolta da giuristi romani, quanto alla possibilità di più precise datazioni di singoli provvedimenti (si pensi ad esempio alla corretta datazione del sc. Velleianum in P. Buongiorno, Senatusconsulta claudianis temporibus facta. Una palingenesi delle deliberazioni senatorie dell’età di Claudio (41-54 d.C.), Napoli 2010, 357 ss. e nt. 831).
D’altra parte, l’attenzione nei confronti dell’Historia Augusta, tema caro ad Alföldy, è in A. Birley (The Emperor Marcus Aurelius and the Sarmatians, 39-50), contributo che può ben inserirsi anche nell’ultimo ambito tematico inerente alle province romane e alla loro organizzazione. Tale ambito è quello più rappresentato all’interno del volume con ben diciannove contributi che variano per contesti geografici. Come ovvio, la Pannonia appare di gran lunga la più indagata a dispetto delle altre, nella più ampia prospettiva geografica (P. Kovács, Territoria, pagi and vici in Pannonia, 131-154. Z. Mráv, Septimius Severus and the cities of the middle Danubian provinces, 205-240), quanto in quella di singoli contesti come Aquincum (L. Borhy, Amphitheatralia Pannonica I. Die sog. Bauinschrift des Militäramphitheaters von Aquincum, 51-58. B. Fehér, Characteristics of Handwriting in the Inscriptions of Aquincum, 91-116. M. Németh, Andenken eines Kaiserbesuches in Aquincum, 249-254 ), Carnuntum (F. Beutler, Die zwei Amphitheater von Carnuntum und deren Datierung, 19-38. E. Weber, Ein magister navaliorum in Carnuntum), Intercisa (Beneficiarii aus Inschriften von Intercisa. Die Frage einer Benefiziarierstation von Intercisa, 359-376) e quello pertinente probabilmente alla civitas Boiorum (A. Szabó, Iuppiter Optimus Maximus. Zwei neue Altäre aus Pannonien, 351-357). Le province iberiche (tema centrale nello studio di Alföldy per l’aspetto che riguardava peraltro la riedizione di CIL II. J.M. Abascal, Dos cuestiones topográficas del conventus Carthaginiensis para CIL II2: Egelesta y el trifinum provincial de Hispania, 1-18. M. Mayer, Contribución al estudio de la epigrafia de Pollentia [Alcúdia, mallorca. Sobre HEp 2, 1990, 62], 155-162) e quelle africane (F. Mitthof, Überteuerter Weizen und private Munifizenz: Bemerkungen zu zwei Weihungen aus Thuburnica und verwandten Inschriften, 163-204. L. Mrozewicz, Municipium Cillitanum. Des études sur l’urbanisation flavienne de l’Afrique du Nord, 241-248). Poi Dalmatia (P. Proházka, Einige römische Inschriften aus Siscia [Sisak, Kroatien] nach einem Brief des Kaufmanns Paul Bitroff, 285-294. M. Sasel-Kos, Ananca: Greek Ananke worshipped at Doclea, 295-306), Dacia (L. Zerbini, Echi delle guerre marcomanniche e della peste antonina nelle testimonianze epigrafiche della Dacia romana, 383-389), Retia (A. Kolbe, Das severische Kaiserhaus in Solothurn?, 117-122) e Creta (A. Chaniotis, Hadrian, Diktynna, the Cretan Koinon, and the roads of Crete. A new milestone from Faneromeni [Crete], 59-68). Esula da questo impianto, il lavoro sulle iscrizioni parietali pompeiane (H. Solin, Zu pompejanischen Wandinschriften, 327-350), unico ad avere come orizzonte la penisola italica.
I lavori sull’organizzazione cittadina si impongono all’attenzione di quanti si occupano di storia amministrativa e istituzionale dei territori provinciali indagati e delle comunità loro afferenti. L’indagine e la ricostruzione di singoli contesti locali valorizza del resto il loro essere parte essenziale e integrante del sistema romano, tanto da essere indirizzata, nei loro riguardi, l’azione politica e la cura dei principi, essi stessi di origine provinciale fin dal II secolo d.C. [A. Gallo]
Roland Färber, Römische Gerichtsorte. Räumliche Dynamiken von Jurisdiktion im Imperium Romanum, Vestigia 68, Verlag C.H. Beck, München 2014, pp. 418, ISBN 9783406666698.
Il volume di Färber dedicato ai luoghi della giurisdizione dalla tarda repubblica al tardoantico, un rilevante prodotto del laborioso clima scientifico della Kommission für Alte Geschichte und Epigraphik del DAI di Monaco di Baviera (sotto la sapiente guida di Rudolf Haensch e Christoph Schuler), parte da una prospettiva recente (e non ancora compiutamente affermatasi fra gli storici dell'antichità), che potremmo definire 'antievoluzionistica': diversamente dall'opinione consolidata, focalizzata sul tribunal repubblicano e protoclassico da un lato, sul secretarium tardoantico dall'altro, come tipica espressione di una concezione 'pubblicistica' della giustizia (e di una visione della iurisdictio come funzione totalmente pubblica), l'a. muove (con un significativo richiamo a Fögen, Der Kampf um die Gerichtsöffentlichkeit, 1974) dalla convinzione che non sia possibile, per l'antichità romana, asserirsi una avocazione totale all'ambito pubblicistico della funzione giudicante. Un'analisi dei luoghi della giustizia in un'ottica di longue durée sarebbe funzionale, nella visione dell'a., a confermare tale opinione (pp. 2-17). La ricerca ha per la verità un taglio composito, con una prima parte dedicata alla situazione dei luoghi e dei tribunali in Roma fra tarda repubblica e primo principato, una seconda che si interroga sull'ubicazione delle attività giurisdizionali degli imperatori da un lato, e degli alti funzionari dall'altro (più imperniate su dati letterari ed epigrafici), e una terza più specificamente interessata (sulla base prevalentemente di risultanze archeologiche) alla dimensione topografica e spaziale. Muovendo dalle affermazioni di Materno (Tac. dial. de or. 38.1-2) e da una rapida disamina delle risultanze archeologiche sugli spazi del comitium e del forum Romanum di età repubblicana, l'a. risalta l'angustia degli spazi all'interno dei quali, per l'epoca in esame, si svolgevano cause sia civili (e non solo dinanzi al pretore, ma anche dinanzi ai giudici privati e ai centumviri) che criminali (quaestiones perpetuae) e si attuava anche la iurisdictio delle cariche minori, quali edili, questori e tresviri capitales ("omnia in foro") (pp. 19-46). Il foro di Augusto sarebbe stato costruito appunto per fornire una prima risposta alla 'fame di spazi' per la giustizia (Suet. Aug. 29.1). Problematica risulta l'individuazione, all'interno dei fori imperiali nel primo principato, del luogo dove sarebbero state collocate le sedi dei pretori urbano e peregrino: la lettura dei dati di scavo (si v. part. E. Carnabuci, Forma e funzione del foro di Augusto, in R. Meneghini, R. Santangeli Valenzani [cur.], Scavi dei Fori Imperiali. Il Foro di Augusto: l'area centrale, 2010, 103-139; E. La Rocca, La nuova immagine dei Fori Imperiali. Appunti in margine agli scavi, in RM. 108, 2001, 171-213), complicata dai dati di TH 6 e 89 da un lato, di TPSulp. 13 e 14 dall'altro, non è univoca (pp. 53-61). Sulla base di TH 89 sarebbe ipotizzabile, secondo l'a., per il periodo fra Caligola e Vespasiano una collocazione dei tribunalia nel Foro di Augusto, con possibilità di spostamenti dovuti alla mobilità dei podii, per lo più in legno (pp. 58-59).
Ai 'luoghi della giustizia' degli imperatori è dedicato un corposo capitolo, che affronta la questione partendo da Augusto (e dalla collocazione 'urbana' sul Palatino delle relative attività giurisdizionali), attraverso la dinastia giulio-claudia (con una preferenza per gli horti imperiali, ma anche, con Claudio, un ritorno al Palatino e numerose udienze in cubiculo), i Flavi, Traiano e Adriano (fra la domus sul Palatino e le villae in campagna), gli imperatori di II e III secolo sino ai Severi (con una situazione simile a quella del periodo precedente), sino al consistorium tardoantico e ai (presumibili) teatri dei processi celebri in Costantinopoli, nel palazzo imperiale di Giustiniano (pp. 67-122). La successiva indagine si concentra sull'individuazione, ove possibile, degli spazi della giustizia riservati agli alti funzionari, nel Principato, in Roma e in provincia. Posta in dubbio la tradizionale collocazione del praefectus urbi presso la Basilica Aemilia (fondata su Lyd. de mag. 1.34.5-7), l'a. ipotizza l'esistenza di un praetorium, già per gli inizi del principato (arg. ex Iuv. Sat. 13.157-161), collocabile nella parte sud-orientale del Forum Pacis, o in quella sud-occidentale delle Terme di Traiano. Per i restanti praefecti le notizie sono scarne e poco attendibili (benché sia presumibile un posizionamento del praefectus praetorio nei pressi della domus imperiale). Nel tardo-antico il praefectus urbi è collocabile (come si ricava dagli Acta Martyrum) in un distretto urbano a nome Tellus. Diverse riflessioni sono poi dedicate alla collocazione dei tribunali del praefectus urbis Constantinopolitanae e del praefectus praetorio Orientis fra V e VI sec. d.C. Quanto all'individuazione dei praetoria dei governatori provinciali, l'a. pone in risalto le risultanze da Caesarea Maritima (pretorio di Erode) e da Mainz (pretorio di Publicio Marcello), e per il tardoantico quelle di Gortyna; nel quadro dei conventus i processi avevano invece luogo generalmente nei fora delle diverse città coinvolte (pp. 123-174).
Maggiormente imperniata sui dati archeologici e iconografici l'ultima parte del lavoro. L'a. mostra l'importanza (anche alla luce dell'immaginario imperiale) del tribunal (o bhma) e della funzione giudicante; si ferma sull'esplicazione della stessa solitamente all'aperto, fra repubblica e principato, e sulle strutture dotate di porticati e terme; sulla funzione dei podii integrati strutturalmente in alcune basiliche (come ad esempio ad Ostia e a Pompei, o - fuori d'Italia - a Cartagine) e sugli 'spazi' dell'azione, in particolare nel tardoantico, nonché sulla funzione 'simbolica' dei tribunali e dell'amministrazione della giustizia (pp. 175-233). L'a. risalta poi il progressivo affermarsi, nel tardoantico, dei c.d. secretaria, corrispondenti all'attività giurisdizionale dei funzionari imperiali, con il connesso insieme di commentarienses, adiutores ed exceptores (Act. Crisp. 1.1, 3.1; ChLA 12.522; Lyd. de mag. 3.27.5). Essi non sarebbero alternativi ai tribunalia e ai praetoria, ma compresenti, e riservati ad alcune funzioni specifiche, vieppiù incrementantisi col passare del tempo: alla luce di alcuni Acta Martyrum parrebbe che le udienze preliminari degli accusati si svolgessero in secretario, là dove le fasi successive si sarebbero tenute pro tribunali, o in foro; le risultanze archeologiche vengono valorizzate (ad esempio nel caso del praetorium di Caesarea Maritima) anche al fine di collocare spazialmente gli arredi, quali armaria e archivi (pp. 235-281). Una particolare attenzione è dedicata infine ai dati iconografici che testimoniano la presenza di saepta, cancelli, paraventi e tende nei tribunali del tardo-antico (quasi a documentare l'ermeticità, la segretezza e la solennità dello svolgimento della funzione): l'a. giustamente rileva come tali dati debbano essere valutati caso per caso (e fonte per fonte), diversificandone l'impatto simbolico, a volte semplicemente decorativo, a volte di maggiore 'sostanza' - e mostrando altresì la risalenza dell'uso di tendaggi e vela, grazie a Didasc. apost. 11, già nel tardo principato (pp. 283-327). Un'indagine perspicua, che mette a frutto una messe ampia e diversificata di fonti, tentando di valutare un problema complesso (e a tratti oscuro), come quello dell'amministrazione della giustizia nei secoli, dalla prospettiva dei 'luoghi' e dell'utilizzo di spazi ed elementi mobili, giungendo in parte a 'decostruire' l'angolazione attualizzante della dimensione pubblicistica della funzione giurisdizionale, per mostrarne anche ambiti più 'domestici', e risvolti meno aperti al pubblico, in particolare nell'avanzato principato e nel tardo-antico. [F. Lamberti]
Iole Fargnoli, Stefan Rebenich (hrsg. v.), Theodor Mommsen und die Bedeutung des Römischen Rechts, Freiburger Rechtsgeschichtliche Abhandlungen (Abt. A), n.F. 69, Duncker & Humblot, Berlin 2013, pp. 184, ISBN 9783428140503.
Marco Antonio Fenocchio, La «fideiussio indemnitatis». Aspetti attuali e linee ricostruttive dal diritto romano classico a Giustiniano, Università di Torino, Memorie del Dipartimento di Scienze giuridiche, serie VI, memoria 5, Jovene editore, Napoli 2014, pp. X-502.
Il peculiare istituto della ‘fideiussio indemnitatis’ è l’oggetto della seconda corposa monografia del Fenocchio. Si tratta di un tema caro all’autore, il quale se ne era già occupato in un intenso articolo del 2011 (Ricerche in tema di fideiussio indemnitatis, in SDHI. 77, 2011, 257-336), riprendendolo in una visione senz’altro più ampia ed articolata. Il volume, diviso in sette capitoli più l’indice delle fonti, colpisce per l’elevato grado di conoscenza della dottrina (sia italiana che straniera, anche quella poco o punto conosciuta) da parte del Fenocchio, come stanno a dimostrare, tra l’altro, le corpose note (proprio per questo, tuttavia, sarebbe stato senz’altro utile al lettore un indice degli autori, o una bibliografia). L’a. non si esime inoltre dall’affrontare, nel primo capitolo («Introduzione alla tematica della fideiussio indemnitatis»: pp. 1-106), la problematica anche nel diritto attuale, non solo nell’ordinamento italiano, ma pure in quelli stranieri, con spunti interessanti.
La tesi di fondo dell’autore, che costituisce il leitmotiv di tutta la monografia (oltre che essere specifico oggetto del III capitolo: pp. 191-286), è che la cd. ‘fideiussio indemnitatis’ fosse una vera e propria fideiussione e non una stipulatio principale, contrariamente a quanto ritiene una gran parte degli studiosi. Occorre però sottolineare che vi sono delle perplessità di fondo. Innanzi tutto, non si vede come fosse possibile, se effettivamente si fosse trattato di fideiussio, agire prima contro il debitore principale e poi contro il fideiussore, dati gli effetti estintivi della litis contestatio. Anche lo studioso, in verità, si accorge di tale difficoltà, ritenendo che in tali casi vi sarebbe stata una «cosciente deroga agli effetti della litis contestatio», in quanto altrimenti «il meccanismo fideiussorio non potrebbe produrre i risultati avuti in mente dalle parti» (p. 188, cfr. anche pp. 173 s.). Ma pensare ad una deroga al diritto fondata semplicemente sul fatto che altrimenti la fideiussione non avrebbe concretamente operato sembra decisamente forzato, specie se invece proprio una stipulatio principale (a «quanto minus a Titio consequi possit») avrebbe realizzato gli effetti voluti dalle parti.
È pur vero che in alcuni casi il riferimento alla fideiussione è indubitabile, ma ci troviamo di fronte a due fattispecie particolari: quella relativa a «quod a tutore seu curatore servari non possit» (v. D. 46.1.41 pr., Mod. 13 resp.; C. 5.57.2, Alex., a. 225. Su cui v. pp. 361 ss.) e quella in cui il fideiussore si obbligava a «quanto minus ex pretio pignoris distracti servari» (alla quale il Fenocchio dedica il V capitolo: pp. 325-342): nel primo caso, infatti, sembrerebbe che, almeno all’epoca di Modestino, si ovviasse agli effetti estintivi della litis contestatio attraverso un’actio utilis, riconosciuta all’ex pupillo; nel secondo, la vendita dei pegni non comportava la liberazione del debitore principale e del fideiussore per il rimanente (v., ad es., D. 13.7.11 pr.; D. 20.1.13.4), riguardo al quale il creditore avrebbe avuto, è opportuno sottolinearlo, la libera electio nei confronti dei due.
Risulta perfettamente condivisibile invece l’individuazione di una sostanziale differenza tra come intendeva l’istituto Paolo – cioè come una stipulatio (per l’a.: fideiussio) sottoposta a condizione della preventiva escussione del debitore principale (come si evince dalla sua nota in D. 45.1.116, Pap. 4 quest.: sul punto, v. pp. 290 ss. della monografia) – rispetto ai giuristi precedenti, in particolare Celso (v. D. 12.1.42 pr., Cels. 6 dig., che è oggetto dell’intero II capitolo: pp. 107-190), per i quali non sarebbe stata eliminata la libera electio del creditore, ben potendo questi rivolgersi direttamente nei confronti del debitore aggiunto qualora non fosse stato possibile ottenere in tutto o in parte l’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore primario. Ciò che però non convince affatto è la configurazione di ‘duo rei eiusdem obligationis’, che – ad avviso dell’a. – Celso, così come Papiniano, avrebbero dato al debitore principale e al promissor indemnitatis (v. passim, spec. 161 ss., 288 ss.). Soprattutto se si ritiene, come fa il Fenocchio, che ci troviamo di fronte ad una fideiussione: i giuristi, infatti, non parlavano mai di duo rei in caso di debitore e fideiussore (tutt’al più, in casi particolari, ‘accostavano’ la loro posizione a quella dei duo rei: v. D. 12.6.20, Iul. 10 dig., da cui l’a. ne trae invece conseguenze opposte: v. p. 163); né si può credere, come fa l’a. (spec. pp. 161 ss., 297 s., 305, 321), che Paolo in D. 45.1.116, nel negare la configurabilità di duo rei, stesse rispondendo in qualche modo alla configurazione celsina, con la implicita conseguenza che anche per Paolo l’istituto si configurerebbe proprio come una fideiussio. Anzi, proprio la circostanza che il giurista severiano avesse negato che si trattasse di duo rei dovrebbe essere una prova ineluttabile che ci troviamo di fronte a due stipulazioni principali, le uniche appunto che avrebbero potuto configurarsi come tali.
Un’ultima perplessità. Secondo il Fenocchio in caso di fideiussio indemnitatis, vi sarebbe stato da parte del creditore un obbligo di diligenza, nel dover fare tutto il necessario per ottenere il proprio soddisfacimento, per potersi poi rivolgere fruttuosamente al fideiussore (a suo avviso, avrebbe avuto un vero e proprio onere probatorio: v., ad es., p. 405; ma sulle cc.dd. ‘Diligenzpflichten’ a cui sarebbe stato tenuto il creditore, v. diffusamente pp. 357 ss.). Non mi sembra però assodato che ci fosse tale obbligo. Sebbene in D. 46.1.41 pr. (Mod. 13 resp.) (v. pp. 361 ss.), Modestino sembri non riconoscere (o, meglio, riconoscere a fatica: «non temere») l’azione contro il fideiussor indemnitatis a favore del pupillo che avesse tardato a richiedere la prestazione al debitore divenuto poi insolvente, tuttavia è da evidenziare che si sta trattando dell’azione utile, che forse, proprio perché introdotta per tutelare maggiormente l’ex pupillo, vi erano problemi a riconoscerla in caso di sua evidente trascuratezza. Sicuramente però per Celso non esisteva affatto tale obbligo (non mi è chiaro, ad onor del vero, se per l’a. Modestino avrebbe solo esplicitato tale obbligo di diligenza, già presente precedentemente, o lo avesse introdotto), dato che, come egli stesso afferma, la possibilità di esigere dal debitore si valutava al momento della litis contestatio con il promissor indemnitatis («Sed si cum Seio egero, quantumcumque est quo minus a Titio exigere potuero eo tempore, quo iudicium me et Seium acceptum est, tanto minus a Titio postea petere possum») non prima. Né sembra che lo riconoscesse Paolo (a differenza di quanto parrebbe ritenere l’a: v. p. 407), dato che egli subordinava l’azione nei confronti del promissor indemnitatis semplicemente alla preventiva azione contro il debitore principale.
In conclusione, il volume è frutto di uno studio molto intenso e approfondito; anche laddove l’a. presenta tesi non condivisibili, non lo fa mai in modo banale, ma attraverso argomentazioni sapientemente sviluppate. [L. Parenti]
Luca Fezzi, Catilina. La guerra dentro Roma, Biografie. Il mondo antico, 3, EdiSES, Napoli 2013, pp. 106, ISBN 9788879597715.
Luca Fezzi, Modelli politici di Roma antica, Collana di Studi Superiori, 982, Carocci editore, Roma 2015, pp. 187, ISBN 9788843076215.
Flegonte di Tralle, Il libro delle meraviglie e tutti i frammenti, a cura di Tommaso Braccini e Massimo Scorsone, Nuova Universale Einaudi, 11, Giulio Einaudi Editore, Torino 2013, pp. LXXXVIII-120, ISBN 9788806203221.
Alessandro Galimberti, Erodiano e Commodo. Traduzione e commento storico al primo libro della Storia dell’Impero dopo Marco, Hypomnemata. Untersuchungen zur Antike und zu ihrem Nachleben, Bd. 195, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2014, pp. 188, ISBN 9783525253038.
Nicola Gardini, Lacuna. Saggio sul non detto, Piccola Biblioteca Einaudi – Saggistica letteraria e linguistica, n.s. 627, Giulio Einaudi Editore, Torino 2014, pp. X-272, ISBN 9788806206369.
Luigi Garofalo (a c. di), Sacertà e repressione criminale in Roma arcaica, Storia e teoria del processo. Collana di studi giuridici, 3, Jovene Editore, Napoli 2013, pp. VI-372, ISBN 9788824322980.
Julia Maria Gokel, Sprachliche Indizien fur inneres System bei Q. Cervidius Scaevola, Duncker & Humblot, Berlin 2014, pp. 424, ISBN 9783428141128.
Yuri González Roldán, Il diritto ereditario in età adrianea. Legislazione imperiale e senatus consulta, Pubblicazioni del Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Cacucci editore, Bari 2014, pp. 304. ISBN 9788866113812.
L’ultima monografia di González Roldán ci offre una esauriente panoramica del diritto ereditario in età adrianea, attraverso – come si evince dal titolo – l’analisi dei senatus consulta dell’epoca (117-138 a.C.) e delle costituzioni di Adriano. Il volume è strutturato in sei capitoli, preceduti da un’introduzione (pp. 19-23), e seguiti da un elenco dei senatoconsulti e costituzioni imperiali (pp. 289-292), oltre all’indice delle fonti (pp. 293-300). Nel particolare, nel primo capitolo sono considerate le disposizioni riguardanti il «Testamento» (pp. 25-73), nel secondo (diviso in due parti) quelle su «Legati e fidecommessi» (pp. 75-137), il terzo è dedicato alla «Manomissione fedecommissaria» (pp. 139-196), il quarto al «Senatoconsulto Tertulliano» (pp. 197-220), il quinto alla «Bonorum possessio ed editto Carboniano» (pp. 221-246), il sesto e ultimo è incentrato sulle «Disposizioni comuni alla successione testamentaria e ab intestato» (pp. 247-288). L’autore affronta le svariate e spinose problematiche inerenti alle disposizioni normative con uno stile piano e scorrevole, senza dilungarsi troppo sul dibattito dottrinale, ma fornendo sempre soluzioni che denotano una certa autonomia di giudizio. Ne risulta una visione chiara dell’apporto di Adriano e del Senato al diritto ereditario, rivolto soprattutto ad eliminare le eccessive rigidità formali e a salvaguardare le volontà del de cuius, tenendo anche in debito conto il cd. «favor libertatis». Un unico rilievo, meramente formale. L’a. enuncia, piuttosto dettagliatamente, le caratteristiche delle disposizioni in età adrianea riguardanti il diritto ereditario nelle pagine finali dell’introduzione (pp. 20-23), cosa che spiazza un po’ il lettore, che si sarebbe aspettato un tale resoconto alla fine del volume, nelle ‘conclusioni’ (che invece mancano, a parte quelle inserite alla fine di ciascuno dei primi tre capitoli, che sono i più complessi). [L. Parenti]
Vincenzo Giuffrè, Divagazioni intorno al diritto romano, con una nota dell’Autore, Antiqua 104, Jovene Editore, Napoli 2014, pp. XX-588, ISBN 9788824323369.
Nella enciclopedica produzione di Vincenzo Giuffrè rientrano anche numerosissimi 'scritti minori', fra cui redazionali, tagliacarte e cronache apparsi negli anni nella rivista Labeo (da lui diretta fra il 1995 e il 2005), relazioni a convegni pubblicate nelle relative raccolte di atti, saggi brevi sparsi in riviste romanistiche e collettanee, testi di lezioni tenute in svariate occasioni in Italia e all'estero, introduzioni apparse in alcuni numeri fuori commercio degli Opuscula del "Centro Interdipartimentale Vincenzo Arangio-Ruiz". La Collana Antiqua (sotto la Direzione di Luigi Labruna e Carla Masi Doria) ci regala ora una preziosa raccolta dei lavori in esame, suddivisi in sezioni: Storiograficamente corretto, storiograficamente scorretto (pp. 3-56); Metodi inespliciti (pp. 57-161); Il nuovo del giuridico (pp. 163-344); Giuristi legislatori e giudici (pp. 345-492); Fra ricerca e didattica (pp. 493-542); Le riviste scientifiche specchio della ricerca (pp. 543-576). In tale ultima sezione Giuffrè ha scelto di includere le missive (risalenti al lontano 1993 e sino al 2005) di Antonio Guarino relativamente alla rivista Labeo, la cui vicenda ha tristemente coinvolto molti di noi, ma colpito in primo luogo proprio il suo ultimo Direttore. Al di là di qualsiasi opinione possa nutrirsi in riferimento agli eventi (risalenti oramai a oltre un decennio fa), resta in chi scrive (e il cui comportamento all'epoca avrebbe potuto avere maggiore coerenza, come non si esita ad ammettere) il rimpianto per una conciliazione che si valutava, allora, possibile, e la consolazione (sia pur magra) che il lavoro svolto nella redazione di Labeo, sotto la guida di Vincenzo Giuffrè, e il know how maturato in quegli anni, abbiano fornito l'humus necessario per l'impianto e lo sviluppo dei 'nostri' Quaderni Lupiensi (opportunamente arricchiti proprio da alcuni dei saggi ora ripubblicati dal Giuffrè in queste Divagazioni). In questo senso mi sentirei di recuperare la citazione di Rita Levi Montalcini, che l'a. riproduce nella sua Nota introduttiva al volume (p. XIX), per cui il fatto "che l'attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte di inesauribile gioia, mi fa ritenere che l'impefezione nell'eseguire il compito ... sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione". Insomma, seguendo il brocardo "maximus boni inimicus est optimum", auspico a lungo, per la nostra ricerca, imperfezioni feconde quali quelle di cui sono espressione le riviste e i lavori appena citati. [F. Lamberti]
Charles Guerin, La voix de la vérité. Témoin et témoignage dans les tribunaux romains du Ier siècle avant J.-C., Mondes Anciens, Les Belles Lettres, Paris 2015, pp. 426, ISBN 9782251300023.
Jan Dirk Harke, Argumenta Pomponiana, Schriften zur Rechtsgeschichte, 166, Duncker & Humblot, Berlin 2014, pp. 182, ISBN 9783428143214.
Martin Jehne, Bernhard Linke und Jörge Rüpke (hrgs.), Religiöse Vielfalt und soziale Integration. Die Bedeutung der Religion für die kulturelle Identität und politische Stabilität in republikanischen Italien, Studien zur Alten Geschichte, 17, Verlag Antike, Heidelberg 2013, pp. 333, ISBN 9783938032589.
Luigi Labruna, Romanisti e no, prefazione di Francesco Paolo Casavola, Consorzio Interuniversitario Gérard Boulvert, 2, Jovene Editore, Napoli 2014, pp. XXII-286, ISBN 9788824323161.
Francesca Lamberti, La famiglia romana e i suoi volti. Pagine scelte su diritto e persone in Roma antica, Giuliano Giappichelli Editore, Torino 2014, pp. X-214, ISBN 9788834849750.
Cesare Letta, Simonetta Segenni (a c. di), Roma e le sue province. Dalla prima guerra punica a Diocleziano, Collana Studi Superiori, 967, Carocci Editore, Roma 2015, pp. 187, ISBN 9788843076215.
Anna Lonardi, La cura riparum et alvei Tiberis. Storiografia, prosopografia e fonti epigrafiche, BAR International Series, 2464, Archaeopress, Oxford 2013, pp. 222, ISBN 9781407310725.
In rinnovata continuità con gli studi sulle magistrature e le curatele prodotti negli ultimi vent’anni (si pensi ad es. al libro di C. Cascione sui tresviri capitales e quello di A. Tortoriello sui consules nell’età di Claudio), si accoglie con piacere la monografia di Anna Lonardi sulla cura riparum et alvei Tiberis. La studiosa mostra una solida formazione epigrafica e prosopografica, e riesamina meticolosamente tutta la documentazione sul tema di tale cura (che però talvolta definisce, non proprio felicemente, “magistratura”), ricostruendone – dopo una breve introduzione storiografica (pp. 4 ss.) – l’evoluzione storica (pp. 9 ss.), gli aspetti istituzionali (pp. 16 ss.) e il suo meccanismo di funzionamento (pp. 31 ss.). Particolare attenzione è poi dedicata anche al personale subordinato, cioè a praefecti, procuratores, adiutores (pp. 57 ss.), nonché ai corpora traiectus (pp. 68 ss.). Appena abbozzate, invece, sono le competenze giudiziarie extra ordinem dei curatores. In compenso, nella ‘sezione documentaria’ offre un catalogo prosopografico (pp. 84 ss.) accurato nonché una raccolta (pp. 156 ss.) e rilettura del materiale epigrafico.
La controversa istituzione della cura riparum et alvei Tiberis è collocata dalla a. al 15 d.C. – in seguito al fallimento di individuare un remedium coercendi fluminis (Tac ann. 1.76) – sulla base di Dio 57.14. L’evoluzione sarebbe stata la seguente: dapprima la cura sarebbe stata affidata annualmente ex senatus consulto ad un collegium di curatores. Successivamente, presumibilmente già dall’età di Vespasiano, sarebbe diventata una singola carica triennale, su nomina imperiale (a tal proposito, va rilevato il ruolo del principe nella produzione della delibera senatoria, come si evince da CIL VI 31545 = ILS 5926, anche se l’a. non tiene conto della proposta di integrazione «ex auctoritate … principis s[(enatusque) c(onsulto)]» avanzata da P. Buongiorno, Senatus consulta Claudianis temporibus facta, Napoli 2010, 256 ss., sulla base di un raffronto con AE 1919, 22). Infine la carica sarebbe stata estesa anche alla cura cloacarum, almeno in relazione agli sbocchi fognari legati al corso del Tevere.
Ben evidenziati sono i risvolti politici della cura che, affidata ad esponenti della nobilitas senatoria «il cui cursus rapido lascia intuire un certo favore imperiale» (p. 82), permetteva loro di intrattenere rapporti privilegiati con il principe. La cura Tiberis, insomma, costituiva un ottimo punto per la costruzione di un’autorevole carriera senatoria. Molto acuto il parallelo con la cura viarum, che l’autrice presenta in conclusione: il Tevere, infatti, ben può essere considerato una vera e propria via fluviale, una «privilegiata arteria di comunicazione fra Roma e il suo porto», e attraverso esso, l’impero. [S. Marino]
Andrea Lovato, Salvatore Puliatti, Laura Solidoro Maruotti, Diritto privato romano, G. Giappichelli Editore, Torino 2014, pp. XIV-826, ISBN 9788834848494.
Attilio Mastrocinque (edited by), Grumento e il suo territorio nell’antichità, BAR International Series, 2531, Hadrian Books Ltd, Oxford 2013, pp. XV-264, ISBN 9781407311494.
Nella riflessione sulla storia istituzionale delle comunità italiche in età romana, volumi dedicati alle indagini archeologiche e topografiche di singole realtà suscitano un particolare interesse, in quanto immettono una messe di dati altrimenti sconosciuti su cui è necessario imbastire una riflessione all’interno della più ampia ricostruzione del fenomeno storico. La storia della collettività lucana di Grumentum è negli ultimi tempi oggetto di interesse, grazie anche alla ripresa dell’attività archeologica svolta sul sito della città, da parte dell’Università degli Studi di Verona in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Basilicata e il municipio di Grumento Nova. Esempio tra l’altro di virtuosa compartecipazione di soggetti ed enti diversi tra di loro.
Il volume, apparso nei BAR International Series, pubblica i contributi presentati al convegno organizzato nel 2010 su Grumentum ed il territorio ad esso circostante da età preistorica fino a quella medievale, dedicando particolare riguardo all’età romana. Ventuno contributi sono stati suddivisi in tre sezioni tematiche incentrate sul foro (U. Fusco, Saggi stratigrafici nella piazza del foro di Grumentum; F. Soriano, L. camerlengo et alii, Il tempio C del Foro di Grumentum – Dati preliminari; A. Mastrocinque, Terracotta architectural decoration from the Forum of Grumentum; V.A. Scalfari, L’area a E del Foro: la stratigrafia e le possibili relazioni strutturali con l’area pubblica di Grumentum; R. Scavone, Resti faunistici dall’area del tempio D del Foro di Grumentum; G. Bison, Metal objects from Grumentum: material culture and productive evidencei; G. Moretti, F. Trivellin, Oreliminary Investigation of a Metallurgical Slag (1st Cent. BC – 1 st Cent. AD) from Grumentum, Basilicata (Italy); S. Baschirotto, M. Scapini, Studi preliminari sulle lucerne provenienti dal saggio 5 dell’ambiente A del Tempio C nel Foro di Grumentum. Dati sulle campagne di scavo dal 2005 al 2008; M. Bonturi, V. Centola, Considerazioni preliminari sugli intonaci rivenuti presso il lato orientale del tempio C, ambiente A; D. Cottica, E. Tomasella, Alcune riflessioni sugli approvvigionamenti del centro urbano tra età repubblicana ed età imperiale alla luce dei reperti anforici del Foro), sui monumenti presenti in area urbana ed extraurbana (A. Capano, Un saggio nelle “Terme Imperiali” di Grumentum (2007); E. Cirelli et alii, Grumentum nell’alto Medioevo: stratigrafia, produzione ceramica e topografia; F. Berna, M. Saracino, Preliminary microstratigraphic investigation of Sector M at the Forum of Grumentum; G. Bertelli, 2008-2009 Archeological Surveys in the San laverio Area, Grumentum, (Grumento Nova, Potenza). Earliest Data; P. Bottini, L’area extraurbana di S. Marco: da luogo di culto a luogo di sepoltura; M. Sacchetta, L’acquedotto di Grumentum; D. Calomino, Il quadro dei ritrovamenti monetali di Grumentum), ed infine sul territorio (A. Pellegrino, A. Ronca, Attestazioni neolitiche in località Molinara (Marsicovetere – PZ); F. Tarlano, Alcune riflessioni sul rapporto tra geomorfologia e popolamento in alta Val d’Agri tra la romanizzazione e l’alto Medioevo; A. Buonopane, Tre cupae monolitiche nella chiesa di Santa Maria de Petra a Viggiano; V. Antongirolami, A. Capano, Il XIV secolo, i “Fraticelli” di S. Francesco, Clereno e l’eremo di S. Maria dell’Aspro in Marsicovetere (PZ)).
Della civitas di Grumentum rimane ignota la condizione giuridica tra la guerra annibalica e la guerra sociale, un suo eventuale accoglimento nella cittadinanza romana in quel lasso temporale e nel caso una sua deduzione coloniaria già in epoca graccana. Appare del resto difficile datare la concessione del ius coloniae, eco del quale si ritrova in età imperiale (CIL X, 228): a parere chi scrive sembra da escludere l’ipotesi di una deduzione cesariana sostenuta di recente e ripresa anche in alcuni contributi del volume (Bottini, L’area extraurbana cit., 192), dal momento che i magistrati delle colonie dedotte da Cesare sono duoviri, mentre a Grumentum sono attestati praetores duoviri, propendendo più per una colonia sillana nella scia di Mommsen, piuttosto che graccana, come sostenuto da Beloch. Del resto, dalle indagini archeologiche condotte nel forum pare emergere una prima pavimentazione della area in epoca sillana (Fusco, Saggi stratigrafici cit., 5-18). Naturalmente paiono necessarie cautela e prudenza nell’uso di dati provenienti da un singolo contesto: solo su una maggiore messe di dati emergenti da gran parte se non da tutta l’area indagata potranno essere imbastite più solide ipotesi ricostruttive.
D’altra parte il rinnovamento urbanistico vissuto in epoca cesariana nell’oppidum con la edificazione di opere pubbliche e nel territorio con la costruzione dell’acquedotto (Sacchetta, L’acquedotto cit., 199-212) non appare necessariamente riconducibile ad un mutamento istituzionale, piuttosto essere stato conseguenza delle vicende belliche intercorse nella prima metà I secolo a.C.
Per quanto attiene al territorio, la ricognizione di due insediamenti di età medievale, la chiesa di Santa Maria de Petra a Viaggiano e quella di San Laverio poco distante dal sito di Grumentum, ha disvelato la presenza di materiale epigrafico di reimpiego: nel primo caso alle due cupae monolitiche note e comprese nel decimo volume del Corpus Iscriptionum Latinarum (nrr. 183 e 188), se n’è aggiunta una inedita (Buonopane, Tre cupae monolitiche cit., 241-245); nel secondo invece gli scavi condotti presso la chiesa ha portato alla luce due iscrizioni latine (una EDR122941, l’altra ancora inedita), provenienti probabilmente da una vicina necropoli (Bertelli, 2008-2009 Archeological Surveys cit., 167-177). Del resto, epigrafi sono state rinvenute anche nell’area funeraria extraurbana di San Marco (Bottini, L’area extraurbana cit., 191-193). Tale materiale, che va ad accrescere il corpus epigrafico grumentino, concorre ad incrementare le fonti e i dati per una conoscenza della comunità e della sua società. [A. Gallo]
Massimo Monteduro, Pierangelo Buongiorno, Saverio Di Benedetto, Alessandro Isoni (eds.), Law and Agroecology. A Transdisciplinary Dialogue, Springer Verlag, Berlin-Heidelberg 2015, pp. XX-494, ISBN 9783662466162.
Mario Pani (a c. di), Conversazioni sulla storia antica. Testimoni per un bilancio di generazioni nell’Università italiana, Documenti e Studi. Collana del Dipartimento di Scienze dell’antichità e del tardoantico dell’Università di Bari Aldo Moro – Sezione storica, 61, Edipuglia, Bari 2015, pp. 138, ISBN 9788872287637.
Il mondo di ieri. Il titolo dell’opera di Stephan Zweig ben si adatta a inquadrare il mondo accademico e storico-antichistico di cui sono stati protagonisti i dodici autori che, accettando l’invito rivolto ai colleghi coetanei da Mario Pani di rispondere al questionario da lui ideato, con la loro testimonianza hanno inteso contribuire a un bilancio generazionale tanto sulla materia da essi studiata e insegnata, quanto sull’università dove la loro esperienza scientifica e didattica si è realizzata.
Ai loro interventi, si aggiungono le conclusioni, affidate dallo stesso Pani a uno studioso della generazione successiva alla loro; conclusioni che sono, al tempo stesso, esse stesse una testimonianza, ma non solo.
Il giovane lettore, studioso di storia antica per inclinazione e condizione esistenziale, prima ancora che per velleità accademiche, si ritrova di fronte alla fine (per altri alla crisi) dell’epoca aurea della sicurezza e della stabilità accademica e dunque degli studi antichistici. Tuttavia per il giovane, tale bilancio può rappresentare il punto di avvio o la tappa di una riflessione già innestata su senso e significato odierni della ricerca storica sul mondo antico.
Innanzitutto pare imporsi l’esigenza di un ritorno alle fonti, nell’ambito di un rinnovato interesse alle edizioni commentate (in un solco già tracciato in epigrafia, filologia e papirologia) raccolte palingeneticamente. Opere di tal genere appaiono imprescindibili e necessarie, in quanto la completezza delle fonti disponibili consente di imbastire un più puntuale e concreto lavorio di sintesi su specifichi questioni ed aspetti, prescindendo da teorie e teorizzazioni interpretative peculiari della ricerca passata. Progetti, finalizzati ad esempio alla ricostruzione delle fonti inerenti agli strumenti normativi romani, sono in corso in diversi paesi europei: leggi (il progetto LEges POpuli Romani), senatoconsulti (Palingenesie der römischen Senatsbeschlüsse. 509 v.Chr. – 284 n.Chr.), costituzioni imperiali (con ben due progetti, Project Volterra e Programme Edoardo Volterra de l’École Française de Rome «Palingénésie des constitutions impériales du Principat»), documenti ufficiali romani tramandati epigraficamente (Les documents officiels de la République romaine et du Principat d'Auguste 212 a. - 14 p.) e papiri giurisprudenziali (Erc-project Redhis: REDiscovering the HIdden Structure). D’altra parte, tali lavori si fondano su un approccio interdisciplinare corale, in grado di mettere in contatto formazioni ed esperienze eterogenee, al di là dei confini nazionali.
Del resto, appare sempre più necessario aprirsi al mondo attraverso una più assidua e abituale frequentazione di istituti e biblioteche europee. Costume questo ancora abbastanza diffuso in passato in talune scuole e per alcune materie, ad esempio la scuola romanistica napoletana. L’ospitalità italica, pur tanto lodevole e apprezzabile, impedisce quella naturale inclinazione umana agli spostamenti e ai soggiorni, grazie ai quali si conosce più profondamente un popolo e il suo Geist. Inoltre, ai giorni nostri solo le biblioteche straniere permettono grande serenità di studio grazie al libero accesso al loro patrimonio, costantemente implementato.
La specializzazione delle molteplici prospettive di indagine della storia antica se da un lato ha determinato una più esauriente chiave interpretativa del fenomeno storico, dall’altro ha isolato lo storico antichista dagli storici delle altre epoche. Perciò appare inevitabile creare ponti di dialogo e confronto anche con gli storici non antichisti, non per indirizzare la ricerca in seno a una sterile comparazione, piuttosto per cercare di comprendere se taluni fenomeni originatisi in età romana possano essere letti in chiave di lunga durata, nonostante le inevitabili evoluzioni ed involuzioni. In relazione a questo aspetto, il giovane lettore è ben contento di osservare che la sua prospettiva trovi riscontro in posizioni e voci autorevolissime.
Il lavoro dello storico in generale e di quello di storia antica in particolare (soprattutto romana, essendosi l’attenzione al mondo storico greco rivitalizzata proprio in questi giorni in relazione a ben note vicende) è dai più malvisto, in quanto ritenuto inutile, per nulla interessante, dispendioso, ingombrate e polveroso, del tutto incapace di approntare benefici concreti e immediati all’umanità. Eppure la ricerca storica è un gambero impegnato a procedere all’indietro, non in avanti: seppur incline a talune sollecitazioni odierne (ad esempio sul tema della migrazione o della integrazione), essa ha come orizzonte d’interesse il passato, o meglio il trapassato.
Il contributo offerto dallo storico antico ai suoi contemporanei allora appare quello di richiamare l’attenzione sul metodo da lui utilizzato, quel rigorosissimo metodo esegetico e palingenetico, grazie al quale si possono cogliere le svariate facce del prisma, inteso come fenomeno storico, cardine di quella molteplicità interpretativa fondata su spirito critico e indipendenza di giudizio.
Su queste premesse, egli sarà in grado di far comprendere che una fonte è storica, indipendentemente dall’epoca in cui è stata elaborata; che di essa si possono offrire molteplici interpretazioni, purché non inficiate da pregiudizi e preconcetti; che il fatto storico è complesso di per sé, e talvolta sfugge a qualsiasi intento sistematico.
Se lo sguardo dello storico si proietta anche al di fuori della stretta cerchia specialistica, il fine a cui tendere sarà incuriosire ad avventurarsi nella profondità degli abissi, non contemplare la superficie del mare, che rappresenta una parte, non certamente il tutto. Eppure lo studioso non perderà la sua essenza di novello Ulisse dantesco, impegnato nella spasmodica ricerca della conoscenza, nella consapevolezza però di non poterla sempre trovare. [A. Gallo]
Giovanni Papa, Studi in tema di processo formulare, G. Giappichelli Editore, Torino 2012, pp. 154, ISBN 9788834839201.
Giovanni Papa, Per una storia del "legatum debiti", Lateran University Press, Roma 2014, pp. 130, ISBN 9788846509901.
Bernardo Periñan, Macarena Guerrero (cuid.), Persona, Derecho y Poder en perspectiva histórica, Editorial Comares, Granada 2014, pp. 299, ISBN 9788490451847.
Aldo Petrucci, Lezioni di diritto privato romano, G. Giappichelli Editore, Torino 2015, pp. XV-401, ISBN 9788834859346.
Björn Schöpe, Der römische Kaiserhof in severischer Zeit (193-235 n.Chr.), Historia Einzelschriften, 231, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2014, pp. 402, ISBN 9783515106955.
La monografia in esame (che per scelta della tematica indagata si pone nella scia di studi recenti di M. Pani e di A. Winterling) è una riconsiderazione della documentazione inerente alla corte imperiale nell’età severiana, delle cui fonti l’a. si dimostra buon conoscitore. Si tratta di un libro policentrico, in cui l’a. pone la propria attenzione di volta in volta sui rapporti fra gli imperatori e gli esponenti della corte (in particolar modo quelli di rango senatorio), sui rapporti fra i singoli senatori, sulla strutturazione dell’amicitia, sul ruolo delle donne (su quest’ultimo aspetto l’a. non tiene tuttavia conto degli studi di G. Viarengo, Il circolo di Giulia Domna tra proiezioni e realtà storica, in Materiali per una storia della cultura giuridica 37.1, 2007, 191 ss.). Particolare attenzione è riservata anche ad onori come gli ornamenta consularia o il conferimento di consolati suffetti in absentia e al peculiare ruolo del praefectus urbi (p. 205 ss.). In ogni caso, non mi sembra condivisibile l’ipotesi (p. 115 s.) che Flavius Maternianus, plenipotenziario a Roma durante la campagna partica di Caracalla (Hdn. 4.12.4) fosse un fiduciario di rango equestre (mi sia consentito al riguardo rinviare al mio contributo in Meditationes de Historia et Iure. FS. Winkel, Praetoria 2014, 81 ss., comunque apparso in contemporanea alla monografia qui passata in rassegna; ma l’a. avrebbe dovuto tenere in considerazione almeno le osservazioni di P. Porena, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, Roma 2003, 154). Deve altresì segnalarsi una certa superficialità nell’esame del ruolo dei giuristi in epoca severiana: il ruolo di Papiniano, ma soprattutto di Ulpiano e Paolo, non può certo ridursi a quello di comprimari, come del resto ha messo in luce F. Nasti, L’attività normativa di Severo Alessandro I. Politica di governo, riforme amministrative e giudiziarie, I, Napoli 2006 (di cui l’a. non tiene conto). Ma a prescindere da questi rilievi, la monografia resta in ogni caso una buona messa a punto delle nostre conoscenze sulla corte in età severiana e costituirà una base affidante di documentazione per le future ricerche. [P. Buongiorno]
Anne Margarete Seelentag, Ius pontificium cum iure civili coniunctum. Das Recht der Arrogation in klassischer Zeit, Reihe Ius Romanum 1, Mohr Siebeck, Tübingen 2014, p. 444, ISBN 9783161528705.
Volume inaugurale della collana Ius Romanum. Beiträge zu Methode und Geschichte des römischen Rechts, la monografia di Anna Seelentag prende in esame l’intricata tematica della adrogatio nell’esperienza romana. Dopo una densa panoramica (pp. 5-39) sulle principali fonti in argomento (Cic. de dom. 13.34-14.38, Gell. Noct. Att. 5.19.1-16, Gai 1.97-107, Tit. Ulp. 8.1-8a) e sulle peculiarità concettuali e storiografiche sottese all’indagine (pp. 39-67), l’a. si ferma sull’originario funzionamento dei comitia curiata e dell’adrogatio, per porne in risalto la distanza con il testamentum calatis comitiis (pp. 68-76). Seelentag trova insoddisfacenti le tradizionali ipotesi evoluzionistiche che sorreggono la ricostruzione storica dell’adrogatio, ponendo in rilievo la persistente rilevanza del ius pontificium per l’interpretazione dell’istituto, ancora nell’inoltrato principato. La tesi dell’a., nel senso di una tenace persistenza della struttura arcaica dell’adrogatio (con minimi mutamenti) sino all’età classica, viene svolta in primo luogo attraverso l’esame del ruolo dei pontefici nel principato (pp. 77-94) e l’analisi della nozione di adoptio per populi auctoritatem come delineata in Gellio e Gaio (pp. 95-147). Seelentag pone in risalto la difficoltà di poter identificare, per il principato, un reale procedimento 'comiziale' (benché attraverso la fictio legata alla presenza dei lictores); si ferma quindi piuttosto sugli aspetti procedurali dell'adrogatio: la detestatio sacrorum (parte del procedimento innanzi ai comitia calata), l'interrogazione rivolta ad arrogante e arrogato, la rogatio populi, la fictio "tam iure legeque filius siet, quam ...". Discute altresì i dubbi dottrinali sulla natura dell'adrogatio, per concludere con un breve excursus sull'adrogatio per rescriptum di epoca classica. L'indagine approfondisce ulteriormente i profili dell'istituto relativamente all'arrogazione di liberti (pp. 159-215), la (teorica) impossibilità per le donne di adottare ed essere adottate sino all'introduzione dell'adrogatio per rescriptum principis (pp. 216-237), l'arrogazione di impuberi, introdotta da un'epistula di Antonino Pio (pp. 238-299) e quella del minor XXV annis (pp. 300-315). Ulteriori investigazioni sono dedicate ai requisiti d'età di arrogante e arrogato (pp. 316-377) e ai dibattiti giurisprudenziali intorno alla capacità di generare (pp. 378-390). In chiusura l'a. riflette sugli scopi dell'adrogatio: stante la possibilità di raggiungere, nel principato, gli stessi obiettivi (hereditas nominis, pecuniae, sacrorum, Cic. de dom. 13.35) mediante testamento, l'adrogatio acquisì (o meglio, conservò) come valore aggiunto quello di consentire la continuazione del 'capitale simbolico' (amicizie, clientele, glorie passate e così via elencando) di una determinata famiglia in capo a un successore designato. Accanto ad esso iniziarono a delinearsi nuovi obiettivi, quali la possibilità per i neo-cives, attraverso tale strumento, di ridurre nella propria patria potestas i figli naturali (sia maschi che femmine) (pp. 390-394). Excursus a sé sono dedicati alle possibili frodi alla legge cui l'adrogatio poteva risultare funzionale (pp. 395-397) e al principio adoptio naturam imitatur (pp. 397-405). Chiudono il volume le conclusioni (pp. 406- 411) e un sommario in italiano realizzato a cura di Salvatore Marino (pp. 412-417). Nell'insieme un volume attraente e denso, attento ai diversi risvolti di un istituto composito e (al contempo) versatile, che continuò anche nell'avanzato principato a venir considerato un'alternativa possibile all'adoptio. [F. Lamberti]
Kaius Tuori, Lawyers and Savages. Ancient History and Legal Realism in the Making of Legal Anthropology, Routledge, Abingdon 2015, pp. VIII-224, ISBN 9780415737012.
Frederik J. Vervaet, The High Command in the Roman Republic. The Principle of the summum imperium auspiciumque from 509 to 19 BCE, Historia – Einzelschriften, 232, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2014, pp. 370, ISBN 9783515106306.
È apparsa nel 2014, per i tipi Franz Steiner Verlag, un’interessante monografia, a firma di Frederik J. Vervaet, in tema di summum imperium auspiciumque in età repubblicana. L’autore si occupa approfonditamente di una problematica che, come egli stesso mette in luce sin dalle prime pagine dell’introduzione, non era stata ad oggi oggetto di un lavoro sistematico, di natura monografica. In questo lavoro che si articola in sette capitoli, ai quali si deve aggiungere un postscriptum, dedicato ad una rassegna delle posizioni dottrinali emerse in tema di lex curiata de imperio, Vervaet ha inteso analizzare dettagliatamente il principio di ordine “costituzionale” del summum imperium auspiciumque, con particolare attenzione alle relazioni di potere tra detentori delle medesime funzioni o del medesimo tipo di imperium.
A prescindere dalla tradizionale tripartizione dei genera imperii, ordinata gerarchicamente, è proprio grazie ad un’analisi approfondita e comparativa dei casi concreti che, ad avviso di Vervaet, si può inferire il ruolo di criterio discretivo del summum imperium auspiciumque, quale principio in grado di evidenziare la prevalenza, in una data situazione, di un magistrato rispetto ad un altro che detenesse il medesimo imperium. Lo studioso, in apertura del lavoro, si dichiara parzialmente critico verso gli approcci metodologici al tema tipici della dottrina del XIX secolo, che reputa fortemente legalistici e finanche positivistici; per questa ragione, egli ritiene opportuno accogliere le più recenti tendenze, destinate a suo avviso a divenire dominanti presso le future generazioni di studiosi, che suggeriscono di concentrare maggiormente l’attenzione sulla “Roman social and political life”. In realtà, come si può evincere tanto dalle parole dell’autore, quanto dalla lettura del testo, questo lavoro cerca di integrare ed armonizzare i due diversi approcci, sebbene appaia talvolta emergere una predilezione per l’analisi del contesto sociale, più che del dato storico-giuridico (e nonostante l’autore definisca la propria opera una «old-fashioned, cautiosly positivist, empirical and evidence-based enquiry»). Vervaet, nel proprio studio, respinge l’idea che l’imperium e l’auspicium rappresentino due connotazioni del medesimo potere, così come la possibilità che l’imperium derivi dall’auspicium, sottolineando viceversa la loro reciproca indipendenza. Il problema principale discusso nel testo, e che ne rappresenta il cuore, riguarda l’individuazione dei criteri che avrebbero permesso di comprendere quando l’imperium auspiciumque potesse dirsi summum, nel caso in cui due consoli, oppure un console od un proconsole (partendo dal presupposto dell’autore, secondo il quale entrambi detenevamo un medesimo tipo di imperium consolare) avessero condotto congiuntamente una campagna militare. Di fatto, secondo Vervaet, il summum imperium auspiciumque veniva esercitato, in tali situazioni, a rotazione, oppure sulla base di decisioni consensuali, tra i due magistrati. A tale questione era inoltre intimamente connesso il problema di individuare a quale, tra i due soggetti, spettasse il diritto al trionfo. Su tale punto, l’autore si allontana dalla teoria del Mommsen, secondo il quale lo si sarebbe potuto concedere solo al detentore del summum imperium auspiciumque, ritenendo invece verosimile che il Senato di Roma facesse ricorso anche ad altri criteri discretivi, e che, più in generale, le regole esistenti potessero essere derogate sulla base di fattori o condizioni sociali ad esse estranei. Questo passaggio, in particolar modo, pur nella ricchezza dell’argomentazione, rischia infine di presentarsi al lettore come parzialmente contraddittorio, in quanto, sebbene fosse possibile individuare, attraverso l’analisi dei casi concreti, taluni criteri decisionali, come sostiene l’autore, al contempo essi potevano (sin troppo) facilmente essere sovvertiti sulla base di fattori ad essi non direttamente riconducibili e per lo più di natura extra-giuridica. Nell’ultimo capitolo, Vervaet si occupa del processo di progressivo accentramento nelle mani di un solo soggetto del summum imperium auspiciumque, iniziato con Pompeo e culminato infine nelle forme del potere augusteo, cristallizzatosi tra il 23 ed il 19 a.C., ad avviso dell’autore, che in questo prende le distanze dalla posizione di Jean-Louis Ferrary.
Nell’appendice dedicata alla lex curiata de imperio, infine, Vervaet, pur premettendo di voler dare essenzialmente conto delle annose discussioni esistenti sul tema, conclude poi offrendo una propria personale interpretazione, secondo la quale tale lex non sarebbe servita a conferire l’imperium, né gli auspicia, bensì soltanto a confermare, nei confronti dei consoli di estrazione plebea, la sussistenza degli auspicia patricorum maxima, che avrebbero permesso così di considerare come iustum il loro imperium. L’autore, nella ricchezza degli argomenti e delle problematiche, affrontati con uno stile brillante, si confronta con una vasta letteratura, nella quale, tuttavia, pare esservi forse qualche lacuna, in particolar modo in riferimento alle opere in lingua italiana. Su tutte, si nota l’assenza dei fondamentali lavori di Tullio Spagnuolo Vigorita (il pensiero corre rapidamente a ‘Imperium mixtum’. Ulpiano e la giurisdizione procuratoria, in Index, 18, 1990, e a Le nuove leggi, Napoli, 19962), i quali, sebbene affrontino il tema dell’imperium in epoca più tarda, rappresentano comunque imprescindibili termini di paragone e di confronto, in relazione alle questioni trattate. Si può inoltre aggiungere, che anche in relazione alle vicende relative ai primi due secoli della Repubblica, l’autore sembra limitarsi soltanto a toccarle cursoriamente, senza volersi veramente addentrare nell’analisi delle stesse (si veda Thibaud Lanfranchi, in BMCR, 2015.06.08). Rimane comunque fermo l’interesse per un lavoro quale quello di Vervaet, il quale, dedicando uno studio ampio ed approfondito al complesso tema del summum imperium auspiciumque, offre un prezioso strumento a chi desideri confrontarsi con tale argomento. [T. Beggio]
Gianluca Zarro, Aspetti dell'autonomia negoziale dei Romani. Dalla 'fides' ai 'nova negotia', Editoriale Scientifica, Napoli 2015, pp. 288, ISBN 9788863427165.